Stefano Ceretti | Mani che si tendono. Mani che si ritrovano

E’ di questi giorni l’acquisizione di nuove opere d’arte del fotografo Stefano Ceretti, che per l’occasione viene raccontato dalla penna talentuosa dello scrittore Enrico Neiretti. Quando la scrittura incontra la fotografia la liaison è un divenire senza limiti

Entrare nello studio di Stefano Ceretti regala la sensazione confortante di calarsi in un piccolo mondo in cui tutto si mescola: passato, presente e futuro, linguaggi, oggetti e parole, volti, luoghi, curiosità. Tanti stimoli e tante storie diverse entrano in contatto tra di loro, dialogano, si contrastano, collidono, si armonizzano: pare quasi che la galleria di immagini esposte alle pareti possa da un momento all’altro animarsi e portare lì, in quello spazio così intimo e particolare, le voci dei protagonisti dei ritratti, le atmosfere delle immagini di paesaggio, le sensazioni che dona la natura, quelle che trasmette la città. E forse è proprio questa la magia della fotografia, che è sempre un formidabile linguaggio capace di muovere i ricordi e le sensazioni che ognuno porta dentro di sé. Anche se è estraneo a quelle storie.

In questo piccolo edificio ad un solo piano di inizio novecento proprio al centro di Biella, posato tra un palazzo Liberty ed un grande condominio anni ’70, quasi a testimoniare la stratificazione del tempo, Stefano Ceretti ha posto la sua base, il suo mondo, il segno di un percorso personale, professionale ed artistica di cui si scorgono distintamente le traiettorie. Camminando sulle vecchie cementine e sul parquet scricchiolante, si possono ripercorrere tutte le fasi del percorso professionale di Stefano seguendo quella galleria di immagini, con cui gli interni retrò dello studio dialogano, rendendole ancor più coinvolgenti. Ed è proprio la sensazione di un percorso costruito giorno dopo giorno che restituiscono queste stanze cariche di fotografie e di oggetti, una sensazione che il racconto denso e fluviale di Stefano -che spazia con entusiasmo lungo trent’anni di esperienze, di scelte, di battaglie, di messe in discussione del proprio lavoro- conferma.

Il lavoro di fotografo di Stefano si intreccia strettamente con la sua espressione artistica. E a sua volta l’espressione artistica si innesta nella sua esperienza umana: non a caso la sua opera più nota, “Black Hands White”, nasce nel periodo buio della malattia che l’ha colpito all’inizio degli anni 2000 e segna un’evoluzione cruciale della sua estetica fotografica: nella serie di scatti in bianco e nero, le mani si protendono, si muovono, si stringono, sembrano cercare qualcosa, forse un appiglio, forse il conforto di un’altra mano, per poi finalmente congiungersi in un segno di forza, di unione, di pace. Quest’opera è stata esposta a Berlino, a New York, e a Venezia.

E proprio quello con Venezia è per Stefano un rapporto molto particolare, la costruzione di un legame all’inizio labile e poi sempre più saldo che è oggi fonte di ispirazione di parte del suo lavoro artistico. La collaborazione con G’art [galleria delle arti] di Venezia è stata il fondamento di questo rapporto che ormai travalica l’aspetto puramente professionale ed è diventato una dimensione di motivazione personale molto importante. Addirittura viene da pensare che tra le atmosfere antiche che si respirano nel suo studio, e la testimonianza di quel tempo “diverso” che Venezia dona ai suoi visitatori più attenti ci sia un legame.

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Non è solo un calice di vino, è passione, tradizione e territorio.

Durante una bella chiacchierata nel suo studio, Stefano mi racconta con il suo modo diretto e entusiasta come da qui, da Biella, senta spesso il bisogno di staccare, di andare per qualche giorno a Venezia, di calarsi nella vita cittadina, di mescolare il suo lavoro con una chiacchierata, una pausa al bar, gli incontri con gli amici.  Dal primo incontro con Venezia, avvenuto come turista tanti anni fa, sino a questo legame professionale ed emotivo con una città in cui lo sguardo del fotografo trae linfa ed ispirazione continua, ci sono state tante occasioni professionali e tanti incontri personali.

E quello del rapporto personale è un punto importante nella vita di Stefano, uomo di grande apertura e franchezza, che sull’interazione umana punta sempre molto: uno dei suoi progetti più noti è l’iniziativa #Feelpeople, che che ha riunito sotto questo logo dal sapore social centinaia di ritratti di persone poi esposti in una serata dedicata. Una sorta di ribaltamento della dimensione impersonale dei social network, nei quali l’interazione si fa immateriale e si riduce ad un’immagine su uno schermo, mentre #Feelpeople, partendo da quella serie di ritratti, si è posta l’obiettivo di stimolare una relazione -come abbiamo ahimè imparato a dire negli ultimi anni- in presenza.

Ecco, quello che mi ha affascinato del lavoro di Stefano Ceretti è proprio la sensazione di un movimento continuo, di una innovazione del punto di vista e del linguaggio, talvolta operate per scelta, altre volte determinate dagli eventi della vita. E la fotografia, con tutta la sua potenza comunicativa, riesce a dare la perfetta sensazione di uno sguardo che evolve, che spazia, che porta lontano mantenendo la memoria di un passato che rappresenta il punto di partenza di ogni cammino.

Ho sempre pensato che la fotografia fosse una perfetta metafora dello sguardo che lanciamo sul mondo: non soltanto per la sua natura di arte visiva, ma anche e soprattutto perché la fotografia è il momento conclusivo di un processo di osservazione e di esplorazione della realtà che impone attenzione, curiosità e capacità di selezione.

Nella bella chiacchierata che ho fatto con Stefano Ceretti è proprio il rapporto con la realtà a mostrarsi con forza. E la cosa che mi ha colpito più di tutte è che spesso ciò che fa nascere i progetti più interessanti si manifesta in modo inaspettato, casuale, addirittura drammatico. Sapere tradurre questi accidenti, questi momenti di imprevisto mutamento in nuove opportunità è una sfida faticosa ed affascinante a cui in qualche modo siamo tutti chiamati.

Enrico Neiretti


Enrico Neiretti

“La provincia ti cuce addosso un ruolo. Cresci così, guardando il mondo in una direzione obbligata, stretto nei tuoi abiti costrittivi, con gli occhi che vagano in un orizzonte ristretto alla ricerca dei pochi punti di riferimento che hai. Ma la mente non smette mai di viaggiare, di sognare, di anelare qualcosa di diverso. E il tuo sguardo la segue: mano a mano che le prospettive si fanno un po’ più ampie, che il mondo offre qualche immagine di sé, lo sguardo fatalmente si allontana dalle imposizioni e dalle imposture e si innamora delle espressioni di libertà. Poi un giorno succede che qualcuno ti chieda: «Ma tu cosa desideri davvero?» Per un attimo esiti, vacilli, tremi: abbattere il muro ormai sbrecciato e che ti trattiene da sempre o schernirti, nasconderti, restare fermo? Capisci che quella voce è lì per darti un’opportunità preziosa. E allora respiri forte e inizi a raccontare.”

Mi chiamo Enrico Neiretti, ho passato da un po’ i cinquanta, vivo e lavoro tra le piccole province di Biella e Vercelli.  Le storie, i luoghi, i linguaggi, gli stili, l’esplorazione sono le mie passioni. Pratico una sorta di flânerie alla ricerca di qualcosa che risuoni alla stessa frequenza delle mie emozioni.

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