Stefano Ceretti | Mani che si tendono. Mani che si ritrovano

E’ di questi giorni l’acquisizione di nuove opere d’arte del fotografo Stefano Ceretti, che per l’occasione viene raccontato dalla penna talentuosa dello scrittore Enrico Neiretti. Quando la scrittura incontra la fotografia la liaison è un divenire senza limiti

Entrare nello studio di Stefano Ceretti regala la sensazione confortante di calarsi in un piccolo mondo in cui tutto si mescola: passato, presente e futuro, linguaggi, oggetti e parole, volti, luoghi, curiosità. Tanti stimoli e tante storie diverse entrano in contatto tra di loro, dialogano, si contrastano, collidono, si armonizzano: pare quasi che la galleria di immagini esposte alle pareti possa da un momento all’altro animarsi e portare lì, in quello spazio così intimo e particolare, le voci dei protagonisti dei ritratti, le atmosfere delle immagini di paesaggio, le sensazioni che dona la natura, quelle che trasmette la città. E forse è proprio questa la magia della fotografia, che è sempre un formidabile linguaggio capace di muovere i ricordi e le sensazioni che ognuno porta dentro di sé. Anche se è estraneo a quelle storie.

In questo piccolo edificio ad un solo piano di inizio novecento proprio al centro di Biella, posato tra un palazzo Liberty ed un grande condominio anni ’70, quasi a testimoniare la stratificazione del tempo, Stefano Ceretti ha posto la sua base, il suo mondo, il segno di un percorso personale, professionale ed artistica di cui si scorgono distintamente le traiettorie. Camminando sulle vecchie cementine e sul parquet scricchiolante, si possono ripercorrere tutte le fasi del percorso professionale di Stefano seguendo quella galleria di immagini, con cui gli interni retrò dello studio dialogano, rendendole ancor più coinvolgenti. Ed è proprio la sensazione di un percorso costruito giorno dopo giorno che restituiscono queste stanze cariche di fotografie e di oggetti, una sensazione che il racconto denso e fluviale di Stefano -che spazia con entusiasmo lungo trent’anni di esperienze, di scelte, di battaglie, di messe in discussione del proprio lavoro- conferma.

Il lavoro di fotografo di Stefano si intreccia strettamente con la sua espressione artistica. E a sua volta l’espressione artistica si innesta nella sua esperienza umana: non a caso la sua opera più nota, “Black Hands White”, nasce nel periodo buio della malattia che l’ha colpito all’inizio degli anni 2000 e segna un’evoluzione cruciale della sua estetica fotografica: nella serie di scatti in bianco e nero, le mani si protendono, si muovono, si stringono, sembrano cercare qualcosa, forse un appiglio, forse il conforto di un’altra mano, per poi finalmente congiungersi in un segno di forza, di unione, di pace. Quest’opera è stata esposta a Berlino, a New York, e a Venezia.

E proprio quello con Venezia è per Stefano un rapporto molto particolare, la costruzione di un legame all’inizio labile e poi sempre più saldo che è oggi fonte di ispirazione di parte del suo lavoro artistico. La collaborazione con G’art [galleria delle arti] di Venezia è stata il fondamento di questo rapporto che ormai travalica l’aspetto puramente professionale ed è diventato una dimensione di motivazione personale molto importante. Addirittura viene da pensare che tra le atmosfere antiche che si respirano nel suo studio, e la testimonianza di quel tempo “diverso” che Venezia dona ai suoi visitatori più attenti ci sia un legame.

Fiorotto Italian Wine
Non è solo un calice di vino, è passione, tradizione e territorio.

Durante una bella chiacchierata nel suo studio, Stefano mi racconta con il suo modo diretto e entusiasta come da qui, da Biella, senta spesso il bisogno di staccare, di andare per qualche giorno a Venezia, di calarsi nella vita cittadina, di mescolare il suo lavoro con una chiacchierata, una pausa al bar, gli incontri con gli amici.  Dal primo incontro con Venezia, avvenuto come turista tanti anni fa, sino a questo legame professionale ed emotivo con una città in cui lo sguardo del fotografo trae linfa ed ispirazione continua, ci sono state tante occasioni professionali e tanti incontri personali.

E quello del rapporto personale è un punto importante nella vita di Stefano, uomo di grande apertura e franchezza, che sull’interazione umana punta sempre molto: uno dei suoi progetti più noti è l’iniziativa #Feelpeople, che che ha riunito sotto questo logo dal sapore social centinaia di ritratti di persone poi esposti in una serata dedicata. Una sorta di ribaltamento della dimensione impersonale dei social network, nei quali l’interazione si fa immateriale e si riduce ad un’immagine su uno schermo, mentre #Feelpeople, partendo da quella serie di ritratti, si è posta l’obiettivo di stimolare una relazione -come abbiamo ahimè imparato a dire negli ultimi anni- in presenza.

Ecco, quello che mi ha affascinato del lavoro di Stefano Ceretti è proprio la sensazione di un movimento continuo, di una innovazione del punto di vista e del linguaggio, talvolta operate per scelta, altre volte determinate dagli eventi della vita. E la fotografia, con tutta la sua potenza comunicativa, riesce a dare la perfetta sensazione di uno sguardo che evolve, che spazia, che porta lontano mantenendo la memoria di un passato che rappresenta il punto di partenza di ogni cammino.

Ho sempre pensato che la fotografia fosse una perfetta metafora dello sguardo che lanciamo sul mondo: non soltanto per la sua natura di arte visiva, ma anche e soprattutto perché la fotografia è il momento conclusivo di un processo di osservazione e di esplorazione della realtà che impone attenzione, curiosità e capacità di selezione.

Nella bella chiacchierata che ho fatto con Stefano Ceretti è proprio il rapporto con la realtà a mostrarsi con forza. E la cosa che mi ha colpito più di tutte è che spesso ciò che fa nascere i progetti più interessanti si manifesta in modo inaspettato, casuale, addirittura drammatico. Sapere tradurre questi accidenti, questi momenti di imprevisto mutamento in nuove opportunità è una sfida faticosa ed affascinante a cui in qualche modo siamo tutti chiamati.

Enrico Neiretti


Enrico Neiretti

“La provincia ti cuce addosso un ruolo. Cresci così, guardando il mondo in una direzione obbligata, stretto nei tuoi abiti costrittivi, con gli occhi che vagano in un orizzonte ristretto alla ricerca dei pochi punti di riferimento che hai. Ma la mente non smette mai di viaggiare, di sognare, di anelare qualcosa di diverso. E il tuo sguardo la segue: mano a mano che le prospettive si fanno un po’ più ampie, che il mondo offre qualche immagine di sé, lo sguardo fatalmente si allontana dalle imposizioni e dalle imposture e si innamora delle espressioni di libertà. Poi un giorno succede che qualcuno ti chieda: «Ma tu cosa desideri davvero?» Per un attimo esiti, vacilli, tremi: abbattere il muro ormai sbrecciato e che ti trattiene da sempre o schernirti, nasconderti, restare fermo? Capisci che quella voce è lì per darti un’opportunità preziosa. E allora respiri forte e inizi a raccontare.”

Mi chiamo Enrico Neiretti, ho passato da un po’ i cinquanta, vivo e lavoro tra le piccole province di Biella e Vercelli.  Le storie, i luoghi, i linguaggi, gli stili, l’esplorazione sono le mie passioni. Pratico una sorta di flânerie alla ricerca di qualcosa che risuoni alla stessa frequenza delle mie emozioni.

Ufficio stampa: press.gart@gmail.com

Gianfranco Tonin | L’artista che ha fatto della sua libertà espressiva un modo di essere (e di vivere)

Una conversazione con l’artista Gianfranco Tonin, il vincitore della sezione “Opera più votata dal pubblico” al Premio Internazionale per l’Arte Contemporanea Visioni Altre 2022-2023 di Venezia

Il momento della premiazione alla Galleria Visioni Altre di Venezia

Ti definisci un autodidatta, cosa ha significato per te? E come nasce la tua vocazione artistica?

L’irruenza giovanile e la poca propensione alla disciplina si è scontrata presto con la rigidità scolastica e questo ha fatto sì che dopo tre anni io lasciassi l’Istituto Statale d’Arte che frequentavo. Devo confessare, a onor del vero, che non ero particolarmente interessato allo studio dell’arte classica, in quanto affascinato dall’arte contemporanea, in particolar modo dal movimento Dada e dalla Pop Art. Non ho quindi acquisito un curriculum scolastico canonico ma ho intrapreso un percorso artistico in modo autonomo. Non saprei dire se ci ho guadagnato o perso, quello che so è che ho iniziato a dipingere cercando una tecnica a me più vicina per esprimere quello che vivevo. Mi sono sentito libero, incoscientemente libero. 

Raccontaci del tuo periodo in bianco e nero. Lo definisci “la sintesi tecnica di una ricerca creativa e poetica”…

In quegli anni (fine anni 70 del secolo scorso) volevo “vivere d’Arte”, vivere cercando un qualcosa che “È TRA”, guardando allo specchio la realtà, la provocazione, l’amore, le emozioni e le paure. Per alcuni anni ho cercato e combinato diverse tecniche e materiali, passando dalla tela al cartone e dalle tempere ad olio alle vernici sintetiche. Ero alla ricerca di una essenzialità, sia nella tecnica sia cromatica, che lasciasse spazio all’immaginazione e alla poesia giungendo quindi a una rappresentazione in bianco e nero, due tonalità essenziali, neutre e contrapposte quali sinonimo di giusto e ingiusto, di buono e cattivo, di bello e brutto, di ombra e luce. 

Così, gradualmente, ho abbandonato completamente il colore per utilizzare solo la matita e il cartoncino bianco (il mio riferimento artistico era il fotografo Helmut Newton). Riprendevo ritratti o figure umane e li rielaboravo, ricontestualizzandoli, creando altre immagini in un fotografico realismo figurativo dal sapore underground. La provocazione portava messaggi diretti, netti , come può fare solo il bianco e il nero e che poi, nel tempo, ha trovato tutte le sfumature del grigio, in un “Divertissement Estetico” (un esempio del 1984 è “ Se si rompe la rete” che vede due donne baciarsi dietro una rete strappata proprio all’altezza delle bocche. Esposto alla 68ma esposizione collettiva della Fondazione Bevilacqua a Venezia).

Perché, a un certo punto, abbandoni le tecniche tradizionali per approcciarti a materiali “altri”?

Se il riferimento è alle tempere ad olio e alla tela, posso tranquillamente affermare di averle lasciate molti anni fa, perché desideravo ed ero alla ricerca di altre tecniche per esprimermi. Dopo essere arrivato alla sintesi del bianco e nero, su cui ho lavorato per una quindicina d’anni, ho cominciato a raccogliere quello che mi circondava, materiali di uso comune per tornare a sperimentare e in quel contesto, sono tornato a utilizzare il colore. Ho dipinto su vetro, con vernici sintetiche partendo da un dettaglio (ad es. un riflesso di luce) per arrivare allo sfondo; ho inciso con una punta metallica pannelli di legno sovrapponendo vari strati di vernice di diverso colore. La caratteristica che legava questo tipo di lavoro e che naturalmente ne è diventata il filo conduttore era sempre la figura umana, per me simbolo focale dell’universo. Alla fine degli anni 90 ho realizzato una serie di lavori con pastelli colorati, dove tratti e linee realizzati con movimenti molto veloci su fondo bianco, andavano a creare dei panorami con il punto d’orizzonte non definito. 

Senza presunzione oggi posso dichiarare di non avere mai smesso di cercare nuove strade o materiali altri, come ad esempio le diverse tipologie di materiale plastico (silicone), cellophane, borsette di Nylon, catramina o polveri cementizie. Una personale ricerca/sperimentazione continua e costante, per relazionarmi con l’osservatore anche attraverso il gioco e le sue reazioni. Negli ultimi anni ti stai dedicando al tema dell’ambiente e delle conseguenze che certi comportamenti umani arrecano alla natura. Perdonaci la provocazione, in un tempo in cui tutti “chiacchierano” di salvaguardia dell’ambiente, credi che l’arte possa davvero far riflettere e invogliare a un cambiamento?

Negli ultimi anni ti stai dedicando al tema dell’ambiente e delle conseguenze che certi comportamenti umani arrecano alla natura. Perdonaci la provocazione, in un tempo in cui tutti “chiacchierano” di salvaguardia dell’ambiente, credi che l’arte possa davvero far riflettere e invogliare a un cambiamento?

Non so se l’arte possa invogliare a un cambiamento, quello che è certo è che l’arte può far riflettere e rendere chi guarda più sensibile ad un eventuale rapporto con l’ambiente. Dal 2017 ho cominciato a utilizzare la plastica nella realizzazione di opere che rappresentano il mare e i suoi organismi viventi, in un percorso che dalla rappresentazione figurativa si arriva all’opera informale, nascondendo tuttavia una visione iperrealista poiché, guarda caso, è esattamente quello che possiamo trovare nella realtà. Giocando con il paradosso, queste opere lasciano trasparire un chiaro messaggio di denuncia. Denuncia che non si può ignorare e che ho avuto il piacere di trovare anche nella lettera enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco e di cui consiglio la lettura. L’avidità di una società votata al profitto sta portando l’essere umano alla ricerca di un benessere non più sostenibile. Il pianeta vive un degrado ecologico e sociale che ci sta portando a rischio di una futura estinzione. Pensiero mio: forse stiamo manifestando la vera indole umana, non più istinto di sopravvivenza ma inconscia volontà di autodistruzione nascosta nel profondo di noi stessi.

E’ ancora tempo che l’arte parli di temi sociali? 

Sì…! L’arte si è posta da sempre come linguaggio universale, rappresentazione del divino, dell’armonia e della bellezza ma anche come denuncia dei mali e delle ingiustizie a rappresentazione della società in cui si sviluppa, spesso anticipando e stimolando culturalmente un modo nuovo di vedere o sentire, un cambiamento futuro. Da Giotto con la cacciata dei mercanti dal tempio, alla Scuola di Atene di Raffaello per indicare i valori del bene, del vero e del bello, a Goya che con “Fucilazione del 3 maggio 1808” per la prima volta vengono denunciati gli orrori della guerra, da Picasso al movimento DADA, passando dall’Arte per l’Arte a Banksy, uno degli streetartist più conosciuti al mondo che, ha saputo diffondere messaggi di denuncia sociale in chiave satirica. L’arte è comunicazione, introspettiva o esplicita. L’arte parla, anzi URLA. 

Alla fine del 2022 decidi di partecipare a un Premio per l’Arte Contemporanea a Venezia e, arrivato in finale, il tuo lavoro è il più acclamato dal pubblico. Immaginiamo che sia stata una piacevole soddisfazione, dicci come ti ha fatto sentire e secondo te, qual’è il valore aggiunto che ha permesso alla tua opera di essere tanto apprezzata (ricordando che ha vinto su 78 opere in esposizione!)

Sono molto soddisfatto e grato del riconoscimento ricevuto dal Premio per l’Arte Contemporanea, l’emozione è stata grande anche perché inaspettato. Quale può essere il valore aggiunto che ha permesso questo riconoscimento da parte del pubblico…. Credo sia stata l’apparente semplicità dell’immagine raffigurata, una linea d’orizzonte che suggerisce calma, staticità e quindi una grande tranquillità (quello di cui abbiamo probabilmente bisogno oggi) immersa in una luce che da respiro. Non so, questa è la mia idea ma chissà quante altre interpretazioni sono state date in merito. Forse qualcuno in quella striscia di orizzonte ha sentito un urlo… Chissà!

In “Paesaggio Artico” (l’opera premiata) la natura, nel suo insieme, decodifica l’animo umano e le sue sfaccettature. Come si colloca la tua scelta stilistica di armonia e genuinità all’interno di una realtà spesso violenta e contraddittoria?

Abbiamo bisogno di armonia e di luce e in “Paesaggio Artico” la possiamo trovare. Possiamo sentire gli elementi che si legano in una visione che si apre a una geometria, apparentemente regolare ma che ci interroga, offrendoci una prospettiva di osservazione volutamente più ampia. Un sottile suggerimento di azione-non azione, perché quando la natura viene compromessa dall’azione umana, l’equilibrio universale si rompe e la realtà ha bisogno di ricomporre questa frattura, riparando la preziosa sacralità del creato. 

C’è o c’è stato un autore contemporaneo che ha alimentato e accresciuto il tuo percorso artistico? Sia esso pittore, letterato o musicista…

Non posso dire che ci sia/ci stato un autore in particolare che abbia alimentato o accresciuto il mio percorso artistico, ammiro e rimango in genuflessa osservazione difronte a diversi artisti, che a vario titolo e in momenti diversi della mia vita ho sentito più vicini a una mia nuova volontà di espressione. Come si sarà capito, sono costantemente alla ricerca, e sempre aperto al desiderio di lasciarmi contaminare, riproponendo a mio modo quello che sento, quello che vivo e che voglio comunicare. 

Qualche proposito (o sogno ancora non realizzato) per il futuro?

Il proposito è quello di non smettere di lavorare e continuare a ricercare una tecnica e uno stile personali con i quali comunicare. Come ho già ribadito, per me l’arte non può che essere espressione di emozioni e/o spunto di riflessione, attraverso molteplici forme tra cui la semplicità, il gioco, la provocazione, il paradosso. Il sogno è realizzare le molteplice idee che ho in mente e di divulgarle il più possibile. 

In mostra – Venezia, 2023

L’opera è stata in esposizione per tutto il mese di febbraio 2023 a Venezia alla galleria Visioni Altre

Ufficio stampa press.gart@gmail.com

Venezia | Premio Internazionale per l’Arte Contemporanea Visioni Altre 2022-23 – I vincitori

“Who can I be now?” del giovane artista Stefano Garbuglia – in arte Nihil Hawthorn – è l’opera vincitrice del Premio Internazionale per l’Arte Contemporanea Visioni Altre 2022-2023

di Francesca Catalano

L’opera vincitrice “Who can I be now” di Stefano Garbuglia

Un’opera ben radicata nel contesto contemporaneo che affronta l’attuale tematica dell’identità digitale e, unendo originalità e tecnica, pone le basi per una riflessione sul futuro del mondo virtuale.

È Stefano Garbuglia, in arte Nihil Hawthorn, classe 1996 e originario di Macerata, il giovane vincitore della prima edizione del Premio Internazionale D’arte Contemporanea Visioni Altre, tenutosi sabato 28 alla Galleria Visioni Altre in Campo del Ghetto Novo. Un progetto dal carattere internazionale, a cura di Adolfina De Stefani e Paola Caramel, con cui l’associazione Visioni Altre, con la collaborazione di G’art (galleria delle arti) si è posta come obiettivo la ricerca e la conseguente valorizzazione dell’arte visiva contemporanea.

Il premio si è sviluppato attraverso tre mostre con opere principalmente pittoriche, scultoree e fotografiche, allestite nei mesi di novembre, dicembre e gennaio, che sono state valutate dalla giuria composta dagli esperti d’arte Roberta Reali, Virgilio Patarini, Francesca Catalano e dalle stesse Adolfina De Stefani e Paola Caramel. I criteri di selezione sono stati molteplici e si sono orientati alla valutazione dell’opera proposta in termini di originalità, innovazione, intelligenza creativa, facoltà concettuale e progettuale, persuasione estetica, rilevanza del contenuto e capacità di ulteriore evoluzione. 

L’opera di Stefano Garbuglia, dal titolo “Who Can I Be Now?”, composta da un dittico di due opere, entrambe di 50×70 cm, che coniuga la tecnica ad olio e grafite su tela e un elaborato digitale stampato su tela, rappresenta la trasformazione di un uomo in avatar, riflettendo sul futuro dell’essere umano e il legame con il mondo digitale. Il secondo premio è stato conferito a Giulio Malfer con il trittico di foto “Cacciata dell’angelo” che, in modo diretto e per certi versi dissacrante, parla dell’importanza dell’accettazione dell’atro, chiunque esso sia, mentre il terzo posto invece è andato alla visual artist finlandese Helina Hukkataival con il video di grande compostezza ed eleganza formale “Door Opera – A Sketch”.

Il 4° premio invece è stato vinto da Tiberio Grego con l’opera “Il Ciclo dell’Insostenibilità” a cui sarà data la possibilità di realizzare una mostra durante l’anno negli spazi della galleria. 5° premio invece all’opera più apprezzata dal pubblico “Paesaggio Artico” di Gianfranco Tonin e infine il 6° premio è stato vinto a parimerito dagli artisti Wanda De Faveri, Letizia Rostagno, Alberto Vignazia, Tiziana Contu, Stefano Ceretti, Alessandro Ferrari, Silvia Lepore, Paola Rizzi, Paolo Pavan, Roberta Mancarella e Lara Vaienti. La scelta dei partecipanti al premio, oltre una 70ina gli artisti selezionati su un totale di 378 portfolio valutati, si è basata su creazioni particolarmente valide e significative: <L’intento – spiegano le curatrici – è stato quello di favorire la ricerca artistica, supportare l’attività creativa, incoraggiare lo sviluppo di idee e opere slegate da condizionamenti di mercato e proporle al pubblico>. L’associazione Visioni Altre da tempo infatti si spende a favore dell’arte contemporanea, realizzando mostre con artisti a livello mondiale, tra cui quelli del movimento Fluxus. Inoltre ospita eventi di rilievo come quello dello scorso anno “La vasca del Fuhrer”, volto ad indagare la fotografia di Lee Miller e ricordare le vittime della Shoah, e quello sul surrealismo “Abisso – Un fine settimana” incentrato sulla figura dell’artista e poetessa Dorothea Tanning.

La mostra è visitabile fino al 26/2/2023 con orario: mercoledì e giovedì 11-14; venerdì, sabato e domenica 11-18. Chiuso il lunedì e il martedì

Entrata libera

Visioni Altre Gallery Campo del Ghetto Novo, 2918 – 30121 Venezia


Francesca Catalano Veneziana doc inizia l’attività giornalistica a soli 17 anni – quando ancora frequenta il liceo classico – senza più abbandonarla, anche durante il corso di laurea in Lettere all’Università Ca’ Foscari di Venezia, con una particolare attenzione alla storia dell’arte. Decennale è la collaborazione con il settimanale Gente Veneta e, più recente quella con Il Gazzettino, per cui si occupa di seguire principalmente eventi culturali e artistici. Collabora con gallerie e associazioni culturali e dal 2011 è costante il suo impegno come critica d’arte per il Centro d’Arte San Vidal UCAI di Venezia, dove da diversi anni è anche parte del consiglio direttivo. Viene sovente chiamata ad essere parte della giuria di vari premi d’arte. Presenta e cura mostre personali e collettive di artisti veneziani, italiani e internazionali, redigendo cataloghi e recensioni su quotidiani locali e nazionali di settore.

A Venezia | L’inscindibile di Minkkinen

Within del fotografo Arno Rafael Minkkinen è la seconda esposizione del nuovo SpazioEventi La Toletta

Da poco inaugurato con “Venice, 2019-2021”, la superba personale di Michele Alassio, il nuovo Spazio Eventi La Toletta torna immediatamente a far parlare di se’.
Non è un caso che Giovanni Pelizzato, titolare dello spazio, si sia avvalso proprio di un collaboratore come il sopracitato Alassio a guidare – attraverso la direzione artistica – questa location dalle caratteristiche uniche e distintive. Da fotografo qualificato qual’è, Alassio non è certo persona da lasciar fare al caso e sin dai primi giorni presenta una programmazione 2021-2022 degna delle più famose gallerie indirizzate alla fotografia.

La seconda esposizione “Within” del fotografo Arno Rafael Minkkinen (Helsinki, Finlandia, classe 1945) è repentina conferma della direzione presa da Alassio; difficilmente lo Spazio Eventi La Toletta riuscirà a non stupire il visitatore con una proposta di altissimo livello di opere e autori.

Sin dall’esterno, osservando il manifesto della mostra, si percepisce la forza della sobrietà che accompagnerà l’intera visita; Minkkinen infatti, pur rendendosi soggetto della propria fotografia, nulla ha da spartire con l’idea stessa dell’autoritratto (meno che mai con la moderna e sterile versione del selfie) anzi, si può asserire senza timore di essere smentiti, che mai la concezione di autoritratto sia stata tanto lontana dal suo stesso significato.

Da cinquant’anni, infatti, l’autore di questi straordinari scatti di cui è stato caposcuola, viaggia per e dentro il mondo diventandone parte integrante e assolutamente indispensabile per rendere noto il suo dialogo personale con l’ambiente circostante. Ecco quindi che il suo corpo nudo – o parte di esso – viene inserito (prima dalla sua mente poi dall’obiettivo) in contesti (tra i più vari) che lo accolgono e incorporano quale valore aggiunto.

Un corpo tra i riflessi dell’acqua, un braccio che delinea l’orizzonte, una mano che appare tra le rocce, dettagli apparentemente insignificanti che si trasformano in punti chiave atti a definire una nuova realtà. Immaginata? No, poichè grazie allo sguardo di Minkkinen siamo lì a vederla.

La mostra è visitabile fino al 7/1/2022 con orario: dal martedì al sabato 16-19.30; domenica 11-14 e 14.30-18. Chiuso il lunedì

Entrata libera

SpazioEventi La Toletta

Michele Alassio Photographer

Anum Farooq

L’artista che esplora le Scienze attraverso l’Arte

Buongiorno Anum, è un vero piacere conoscerti anche se, per ora, solo virtualmente. Ti ringraziamo davvero per aver voluto condividere il tuo mondo e la tua visione artistica con Art On Gallery. Puoi raccontare ai nostri lettori qualcosa su di te? Da dove vieni e qual’è il tuo background?

Vi ringrazio e ricambio. E’ un onore per me tenere questa conversazione. Sono cresciuta a nord di Londra e ho studiato in una scuola con una storia lunga un centinaio d’anni. Ricordo ancora il sentiero di ciottoli che portava alla Enfield County School, a primavera circondato da giunchiglie. 

Ho studiato Biochimica e Management all’Imperial College di Londra; ho seguito un corso di Storia dell’Arte all’University College londinese. Sono membro del Royal College of Science grazie al mio periodo all’Imperial. Ho inoltre completato il mio PGCE e ottenuto il QTS (Qualified Teacher Status) al Department of Education in Inghilterra.

Sei membro del Royal College of Science a Londra ma anche un’educatrice, tutor e consulente a livello internazionale. In che modo la tua pratica artistica dialoga con la vita di tutti i giorni?

Durante la mia pratica professionale come educatrice e tutor, il processo di osservazione non si ferma mai. Ad esempio, può essere l’attenzione che pongo verso la gestione del comportamento altrui o un atto di gentilezza osservato durante un lavoro in team. Tutto ciò diventa stimolo cosciente da indagare nella mia arte, proprio attraverso i suoi collegamenti con l’umanità. 

In concreto, la mia pratica artistica viene alla luce di sera quando gli allievi dormono e non corrono tra i miei tubetti di colore! Ho allestito un’area come una sorta di piccolo studio per assicurarmi la concentrazione nella pratica artistica. Questo aspetto è interessante per tutte quelle donne che sono artiste, lavoratrici ma anche madri: è di certo una pratica difficile, ma con il duro lavoro e la disciplina si riescono a intessere veri e propri miracoli nella propria realtà di vita e di arte!

Il tuo interesse nell’esplorazione del rapporto tra Scienza e Arte è un tratto distintivo che caratterizza tutta la tua produzione. Come questo aspetto ti aiuta a concepire nuovi lavori nel concreto?

Il mio interesse nell’esplorare la relazione tra Scienza e Arte proviene dal mio background in Biochimica, così come l’utilizzo di un approccio pedagogico nel combinare queste discipline attraverso percorsi interdisciplinari. Nell’approcciarmi all’arte, uso tutti gli stadi dell’osservazione e sperimentazione che caratterizzano il metodo scientifico: ad esempio osservo la natura circostante, sia che si tratti della forma di una foglia, dell’andamento delle onde e delle rocce, dei colori scaturiti dalla formazione delle nuvole o dalla forma e consistenza dei rami degli alberi e così via. Successivamente inizio a sperimentare, nel momento in cui devo sintetizzare questi temi nella pittura astratta o quando fotografo la biologia della vita creando collegamenti con impressioni ed emozioni umane.

Il mio dipinto “Certainty” (2011) è incentrato su modelli naturali: la luce che sovrasta il buio, la pioggia che dalle nuvole giunge per purificare, nutrire e sanare la Terra. Gli alberelli delicati che fioriscono con il passare del tempo e le sottili goccioline d’acqua che danno vita a radici forti – simbolo della giustizia della natura. Questi soggetti sono direttamente connessi al “nostro percorso di vita” con tutte le sue sfide e i miracoli, insieme alla certezza che il destino e la verità trionferanno.

Certainty

Nel guardare al futuro, intendo rafforzare ulteriormente i legami tra Arte e Scienza, esplorando i temi del vento e dell’energia cinetica nel mondo naturale e le loro connessioni alle emozioni umane. Un esempio: come ci fa sentire la brezza del mare?

Queste esplorazioni spero possano influire anche sulla sfera accademica affinché si riescano ad espandere i legami interdisciplinari tra Arte e Scienza promuovendo un’esperienza di apprendimento “olistico”. 

Nella tua pratica artistica “la natura fa da padrone”. Oltre ad essa, da dove arriva l’ispirazione?

La mia arte ha forti legami con la natura, la fede, le prospettive più intime, l’umanità e rimane comunque profondamente influenzata dal mondo naturale. Nella fotografia “Zephyr Nostalgia” esploro il significato del suono e del colore. Uno dei miei suoni preferiti è sentire le risate nel vento. Tutto ciò rievoca un ricordo lontano quando correvo con e contro il vento, da bambina, con le mani tese e scoppiando a ridere di semplice gioia. I colori si fondono in una “nostalgia di brezza” come se il vento li portasse con sé, mentre le tinte si mescolano e vengono attirate dai suoni stessi della vita. 

Zephyr Nostalgia

A tuo parere, qual’è la differenza tra pittura e fotografia in termini di espressione personale?

Ultimamente, credo che dipenda dal singolo artista e come riesce a utilizzare mezzi diversi.

In generale, credo che la pittura mi dia un po’ più di libertà espressiva; ci sono state volte nelle quali ci ho messo mesi a terminare un dipinto e comunque ora risulta ancora incompleto. Alcuni dei miei dipinti di dieci anni fa sono ancora incompiuti e possono essere ripresi in mano. Poi, ci sono volte in cui inizio una tela con alcuni colori, toni e pennellate per poi cambiare il tutto in itinere, perfino il medium utilizzato. Potrei iniziare con l’acrilico e il gouache per poi finire con l’olio. Credo che sia per il fatto di essere un’autodidatta, forse è la mia “ignoranza” a rendermi maggiormente libera.

In fotografia, penso che ci sia meno “spazio di manovra” una volta che l’originale è completo. Una volta scattata, la fotografia cattura un particolare momento nel tempo, proprio perché è espressione di sé stessa. Non può essere cambiata, a meno che non venga scattata una nuova fotografia o che venga alterata digitalmente, quindi credo che la fotografia sia una forma espressiva forse più “regolamentata” e rigida rispetto alla pittura.

Nei tuoi scritti e nella poesia emerge un’attenzione delicata per la spiritualità e l’umanità. Questo approccio filosofico come si è sviluppato nella tua vita come donna e come artista?

Come una donna che ha perso il padre da ragazzina e che non ha avuto fratelli o sorelle e la cui madre soffriva di schizofrenia. Ho affrontato sfide incredibili nella vita e anche da piccola avevo l’abitudine di utilizzare l’arte come forma espressiva e di auto-rassicurazione. Ho iniziato scrivendo poesie all’età di 12 anni esplorando le mie curiosità e osservando il mondo circostante. Quando devo affrontare delle difficoltà nella vita, vado in montagna o mi arrampico sugli alberi in un parco per poi osservare l’orizzonte. Mi circondo di natura e penso che se il Creatore ha dato vita a questa bellezza e sa’ mantenerla così, beh io, come una minuscola parte di essa, verrò anch’io tenuta da conto. Ciò calma le mie paure.

Sono anche una viaggiatrice instancabile. Come artista, amo assorbire dalle culture e dai luoghi che sono stata così fortunata a visitare. Per esempio, circa nel 2014, trascorsi un periodo a Greve in Chianti: fu un’esperienza meravigliosa vivere immersa nella natura. Da là, ho visitato gli Uffizi che, per un’autodidatta come me, furono incredibili per il solo fatto di ammirare dal vivo opere d’arte di personaggi come Leonardo da Vinci e Michelangelo. Visitai poi Firenze e Siena e ottenni immensa ispirazione dalla bellissima architettura, dalle persone, dall’arte, dal cibo e da quella cultura magnetica.   

Nel dipinto “Sanctuary” approfondisco il concetto della ricerca di un santuario che lenisca, per diventare un tutt’uno, rispondere alla propria personale “chiamata”. Salvando noi stessi, prendiamo coraggio per salvare anche gli altri. Questo dipinto è incentrato sulla guarigione olistica: i colori caldi e familiari sono un richiamo dell’anima verso una rassicurazione calma e gentile. I toni senesi di fondo rievocano un tempo di quieta scoperta per mezzo della natura e del colore. Nell’esplorare il mondo attorno a noi, nel trovare un “santuario”, nel guardarsi dentro per completare se stessi…è lì che iniziamo il viaggio per guarire il mondo circostante. 

Sanctuary

Parliamo del tuo interesse nel promuovere le differenze culturali e le interconnessioni umane. Puoi dirci qualcosa di più sulla tua partecipazione al “Urban Dialogues Festival Exhibition” a Londra?

Urban Dialogues Festival Exhibition si è svolto a Londra nella Red Gallery in parallelo a “Shared Roots in Faith”. Una mostra collettiva nella quale il mio lavoro è stato influenzato dall’impegno interreligioso in vari progetti con queste organizzazioni. Tutto ciò spaziava dal condurre interviste ad anziani di fede islamica, ebrea e cristiana a Londra al trasformare i loro racconti orali in arte per una mostra a rotazione sul tema dell’armonia interreligiosa che si teneva alla Tower Hamlets Library, in una cattedrale londinese e alla Red Gallery: un’esplorazione dell’eredità condivisa tra le religioni abramitiche per comprendere e celebrare le diverse fedi e culture.

Bridge of Faith

La pandemia da Covid-19 e i numerosi lockdown che si sono susseguiti hanno cambiato il tuo modo di approcciare l’arte?

Sì, decisamente. Mi ha permesso maggiore introspezione e la possibilità di riflettere sulla profondità del legame tra i vari temi. Per esempio, l’opera “Roots of Courage” (2021) viene influenzata direttamente dal concetto di interconnessione che si percepisce tra le radici degli alberi.  Essa viene ulteriormente sperimentata nei suoi legami con l’umano, come trovare il coraggio per raggiungere i propri sogni malgrado la turbolenza del tempo e degli eventi, proprio come le radici rimangono ancorate al terreno. Il fatto che ci sia diversità nel genere umano, anche se le nostre radici sono interconnesse. Che malgrado i tempi cambino, possiamo prepararci con coraggio e integrità a un orizzonte ancora più brillante di speranze e sogni.

Il Covid-19 ha anche consentito nuove opportunità come l’attenzione alle mostre digitali, nonché l’abbattimento dei confini fisici e la creazione di un’arte veramente globale proprio attraverso la tecnologia.

Roots of Courage

A quali iniziative dobbiamo aspettarci di assistere nei prossimi anni? Consideri il tema della “sostenibilità culturale” come una chiave contemporanea per sperimentare nel campo dell’arte?

A livello personale mi concentrerò sull’approfondimento ulteriore dei legami tra la Scienza e le Arti, parallelamente mi sto preparando per un’imminente mostra online dal titolo “Trees and Reflections”.

Inoltre sto collaborando e curando per la prima volta una call internazionale intitolata “Compassionate Women: Kindness in Action” che vuole promuovere dei talk culturali sul tema della gentilezza creando un impatto significativo sulle vite delle donne a livello globale. Tale progetto culminerà con una mostra internazionale.

Credo proprio che la “sostenibilità culturale” affonderà sempre più le proprie radici nel campo dell’arte. E’ qualcosa che credo sia già in atto con la celebrazione e la conservazione delle culture indigene e della loro eredità attraverso l’arte, ma anche cercando di creare un dialogo con le generazioni future di artisti. La sperimentazione nell’arte continuerà così come è stato finora. Vedremo ulteriori innovative (e provocatorie) opere d’arte venire alla ribalta.  

Credo anche che ci sarà un importante spostamento verso le connessioni interne tra arte e ambiente, in special modo alla luce delle questioni climatiche contemporanee, dove credo che l’arte potrà essere utilizzata sia come strumento divulgativo sia come agente di cambiamento per proteggere e conservare il nostro pianeta.

Hope
Anum al lavoro

anumfarooq.com

Ufficio Stampa: press.gart@gmail.com

Messa a fuoco (s)elettiva

Ha ri-aperto a Venezia il nuovo SpazioEventi della Libreria La Toletta con la direzione artistica di uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei: Michele Alassio e noi siamo andati subito a intervistarlo

Una programmazione fotografica ambiziosa e di altissimo profilo quella del nuovo Spazio Eventi La Toletta. Esiste una tendenza o, per così dire, un macro filone che unisce la maggior parte delle proposte espositive?

No, non vi è una tendenza né una preferenza di stili o generi da parte mia, sarebbe una contraddizione in termini con l’incarico di direttore artistico. La galleria è aperta a qualsiasi tipo di proposta grafica e fotografica, con due sole discriminanti: l’assoluta qualità delle opere, e la sincerità della proposta. Il che significa che anche se ho una precisa idea su cosa dovrebbe essere la fotografia artistica, non disprezzo nulla di ciò che accade al di fuori della mia concezione, purché sia apprezzabile all’interno delle due discriminanti di cui sopra.

Come dialoga lo Spazio Eventi La Toletta con il tessuto cittadino veneziano? Avete già pensato a collaborazioni o a progetti condivisi di ampio respiro che coinvolgano realtà limitrofe di eccellenza?

Io mi occupo esclusivamente della parte artistica ed espositiva, Giovanni (Pelizzato, titolare della libreria Toletta e dello spazio) della parte letteraria. Per mio conto, non ho alcuna preclusione nei confronti della città, e sono aperto a qualsiasi proposta che rispetti le uniche 2 regole che ho già esposto. Quanto ai progetti di ampio respiro, nel senso di far parte di un progetto espositivo che si articola in più sedi non credo che siano praticabili per una sostanziale differenza di qualità espositiva in termini ambientali ed illuminotecnici. Lo Spazio Eventi in questo senso, per il momento, è una realtà unica, con standard qualitativi non ravvisabili in nessuna delle attuali realtà, incluse quelle istituzionali e museali, ed è dedicata al godimento degli originali, siano essi fotografici o grafici. Poche immagini, ma le migliori ed esposte nel miglior modo. Far parte di una kermesse che non possa offrire le stesse qualità non è nel nostro interesse. La prossima notte bianca, per la sua natura sarà solo una eccezione accettabile avendo una esposizione in corso, ma in futuro nulla sarà presentato se non interamente progettato e controllato dalla direzione artistica.

Emerge la chiara intenzione di promuovere proposte fotografiche meritevoli di fotografi che non hanno l’opportunità di autofinanziarsi un’esposizione pubblica. Quali sono le dinamiche che metterete in campo a questo proposito?

Il Venice Photo Prize, grazie alla collaborazione di Banca Generali, è una iniziativa che va esattamente in questa direzione: offriamo a un assoluto esordiente, in modo del tutto gratuito, non sono la possibilità di realizzare una serie a Venezia, ma anche di esporla nel periodo di maggior interesse (durante la Biennale Arte). E’ un modo per scardinare il mercato delle locazioni per esibizioni artistiche, che ha avuto una lievitazione dei prezzi degli spazi che impedisce del tutto una offerta fresca e giovane. Nessuna galleria presenta un esordiente perché, visti i costi, il rischio è altissimo. Questo fa sì che ad ogni Biennale si vedono le identiche gallerie e i soliti noti. laToletta Eventi fa esattamente il contrario: offre i propri spazi (i migliori come attrezzature generali) in modo del tutto gratuito.

In questa mostra d’esordio l’artista e il direttore artistico coincidono. In che modo quest’ultimo si pone nei confronti della “sua” esposizione?

La decisione di aprire, a Venezia, con una esposizione che parlasse della città, è stata sofferta ma inevitabile. Lo Spazio Eventi è e sempre sarà, in primis, una offerta culturale (gratuita, non ci sono biglietti) dedicata a quel che rimane della nostra residenzialità ma, nel contempo, di respiro internazionale e nelle proposte espositive e nella frequentazione. Le mie ultime tre serie poi descrivono i problemi della città, lo shock della pandemia, l’incertezza per il futuro. Nessun altro fotografo al mondo conosce meglio queste realtà né è riuscito ad esprimerle altrettanto intensamente, perché il punto di vista e la conoscenza del territorio è fondamentale e vivendo a Venezia, ed amandola, forse sono partito privilegiato.

Da fotografo hai viaggiato in tutto il mondo collaborando con riviste internazionali come Vogue, Elle, Lui, Vanity Fair e lavorando a campagne di moda di haute couture. Perché tornare a Venezia proprio ora con una proposta espositiva permanente?

Perché Venezia rimane, nonostante tutto, da un punto di vista artistico, il centro del mondo. Lo è per la Biennale, ma anche per se stessa, per ciò che regala a chi la vede e per l’immensa cultura visiva e letteraria che contiene e può offrire. Tutte le altre
metropoli devono inventare un motivo per allestire una esposizione, a Venezia basta mostrarsi per quel che è, perché è una esposizione in se stessa. Il punto è che questo fa sì che sia usata come vetrina, e non come centro permanente di arricchimento culturale. Lo Spazio si propone questo: una offerta culturale ed una discussione continua, con la città e con il mondo. Del resto, i numeri ci han dato ragione, il vernissage del 4,in contemporanea con l’apertura di Palazzo Grassi, la mostra del cinema del lido e tantissimi altri eventi ha visto centinaia di presenze dalle 16 alle 23, senza i mezzi e la pubblicità sovrastante dei nostri competitor, con solo 100 locandine e nessun poster murale (gli spazi erano tutti occupati).

Dopo “Venice’s autopsy”, “Our darkest hour, its radiant time”, “Mirages-joking with fire” che raccontano lo stravolgimento che ha colpito Venezia nel solo arco di tre anni, dove senti di dover puntare l’obiettivo?

Non a Venezia. Del resto è stata una scelta causata più dall’impossibilità di viaggiare che da altro. Dal 6 all’11 ottobre esporrò le mie serie classiche al MIA a Milano, nello stand più grande della fiera, dove presenterò anche il mio libro “Passing Steamer-nella fotografia” edito da La Toletta-Edizioni che senza alcuna pubblicità sta andando piuttosto bene. Poi penserò al da farsi. Mi serve sempre una immagine di partenza per costruire una serie e negli ultimi quattro mesi tutte le mie energie sono state spese per lo spazio.

SpazioEventi La Toletta

Michele Alassio Photographer

(Da sx) Massimiliano Camellini, ospite di una delle prossime esposizioni; Giovanni Pelizzato; Michele Alassio

“Questo lo posso fare anch’io!”

 Arte contemporanea: propensioni e attriti

Con l’avvento della fotografia, nel 1800, l’arte pittorica in grado di riprodurre la realtà di maestri come Leonardo, Raffaello, Botticelli….venne via via sostituita. Dipingere realisticamente non era più sufficiente, per non perdere la sua forza espressiva l’arte visiva doveva cambiare linguaggio.

Nell’arco di un centinaio di anni e attraversando varie fasi dell’arte moderna (Impressionismo e Post-Impressionismo, Puntinismo, Simbolismo) si arrivò all’arte contemporanea, dove, se rappresentare realisticamente un oggetto, un volto, un paesaggio non serviva più (ci pensava già la fotografia), quello che si cominciava a chiedere a un’artista era di rappresentare un concetto, per far sì che esso potesse suscitare un’emozione.

L’artista assunse così un ruolo nuovo e oltre ad avvalersi di attitudine, tecnica ed esperienza, dovette cominciare a servirsi di un’idea, una percezione, appunto un concetto. Per l’arte, una vera rivoluzione.

Chi non ricorda il vero punto di svolta (o rottura) tra arte moderna e contemporanea compiuto dall’artista francese Marcel Duchamp (Blainville 1887 – Neuilly-Sur-Seine 1968) con “Fountain” il suo orinatoio in ceramica?

Fountain” di M. Duchamp (1917)

Con quell’opera l’artista dimostrò che, se sorretto da un’idea stravagante e da un marketing efficace, nell’epoca moderna tutto può essere arte.

Già, perché un’altra grande rivoluzione per l’arte contemporanea fu quella di inserire nuove dinamiche, oltre alle capacità tecniche e all’idea creativa dell’artista diventarono fondamentali: la spinta pubblicitaria (quella che determinerà le quotazioni di un artista), lo spettatore erudito (quello che diventerà il critico) e il mercato (quello che diventerà il gallerista e il collezionista).

Per ricapitolare, prendendo ad esempio Duchamp, con un oggetto di uso comune presentato come creazione artistica, sorretto quindi da un’idea ben precisa (in questo caso provocatoria), dell’ottimo marketing e una sede espositiva prestigiosa, l’artista è riuscito a convincere critici e collezionisti che quella era arte, affermando inoltre (in teoria) che chiunque può fare arte. 

Atelier Scatola Magica
Un teatro di sensazioni, curiosità, stile. Costumi  teatrali, maliziosi corsetti, costumi professionali per la danza si alternano alle collezioni donna, agli accessori, agli abiti da sposa in una inusuale galleria di proposte con un tratto in comune.

Il critico e curatore Francesco Bonami tiene a precisare però che “ciò non significa che l’arte oggi è tutta una bufala, che gli artisti sono solo geni del marketing o che tutti sono artisti”. Si faccia avanti chi, di fronte a una delle tele bianche del pittore americano Robert Ryman (Nashville 1930 – New York 2019) o delle tele tagliate dell’artista italo-argentino Lucio Fontana (Rosario 1899 – Comabbio 1968) non abbia proferito: “questo lo potevo fare anch’io!”. Eppure, continua Bonami, “Le tele bianche sembrano una sciocchezza alla portata di chiunque, ma ciò che conta è farle per primo. E il primo a osare l’inosabile è stato proprio Ryman nel 1955”.

Non solo, “in quelle tele c’è un messaggio. Il pittore aveva intuito che oggi non spaventano tanto le guerre quanto il vuoto e la noia. Se l’arte è espressione della società, questa è la società che abbiamo: vuota. E che cosa poteva meglio rappresentare la noia di una tela bianca? Ryman fa quindi arte, senza dare sfoggio di grandi capacità tecniche ma lanciando messaggi che ci fanno pensare”.

Ma come facciamo, noi comuni mortali a capire se c’è davvero un messaggio e qual’è il suo significato o se ci troviamo davanti a un’artista che non ha alcuna capacità tecnica?

Qualche volta è l’artista stesso a svelarcelo (Fontana ne è un esempio), altre volte sono i critici (Duchamp non spiegò mai le sue opere), altre volte ancora l’artista si diverte a sconfessare le interpretazioni di critici e pubblico con opere indecifrabili (Salvador Dalì, Figueres 1904 – 1989).

Metamorfosi di Narciso” di S. Dalì (1937) 

Ma esiste un altro modo di approcciarsi all’arte contemporanea, indipendentemente dal messaggio che vuole trasmettere, che è quello di lasciarsi suggestionare da ciò che stiamo guardando. Poiché l’arte, oggi, nelle sue più varie forme, esprime chi siamo, cosa proviamo e cosa stiamo vivendo. Accanto quindi a chi, osservando un’opera dell’italiano Gino de Dominicis (Ancona 1947 – Roma 1998) o dell’inglese Damien Hirst (Bristol 1965) ne apprezza la forza disarmante, ci sarà chi la reputa oscena ed eccessiva. Ma ne viene comunque colpito e l’opera d’arte ha raggiunto il suo scopo.

Quello che fa pensare, è che a stabilire “cosa è arte” oggi siano i critici, i galleristi, i mercanti…creando tendenze e confezionando prodotti commerciali ben infiocchettati. 

Se il valore di un’opera del Tiziano, si misura dalla sua perfezione tecnica e stilistica, per un’opera di oggi il valore dipende spesso da quanto un artista riesca ad attirare l’attenzione del fruitore (nel bene e nel male) lasciando a critici e collezionisti il compito di promuovere la sua immagine e di far lievitare le sue quotazioni.


Certo, questo “sistema” può farci inorridire e credere che ci propinino dei veri e propri “fake”, distinguere un’opera d’arte da un lavoro mediocre o di cattivo gusto non è sempre semplice. Eppure un sistema c’è ed è quello di guardare l’opera con occhi “innocenti”, senza ne’ aspettative, ne’ preconcetti, lasciandosi trasportare dalle sensazioni che suscita per arrivare a percepire ciò che il nostro essere, le nostre esperienze, il nostro sentire, dopo averlo filtrato, ci fa ritornare.

Non hanno più importanza il bello o il brutto, quando un’opera ci fa riflettere, ci sorprende, ci stimola o anche solo ci diverte, l’artista ha fatto centro. In fondo il proverbio è sempre valido: “non è bello ciò che bello ma è bello ciò che piace” e in una società come quella attuale, in cui nessuno crede in una verità universale e il concetto di bellezza è sempre più relativo, un traguardo emozionale è quanto di meglio ci possiamo augurare!

Fonti:
“Lo potevo fare anch’io ‐ Perchè l’arte contemporanea è davvero arte” Francesco Bonami – Mondadori, Collana Strade blu, 2007


Ufficio stampa: press.gart@gmail.com


ANTIQUARIATO – L’arte del collezionismo

LA COLLEZIONE MARZADORI 

Maurizio Marzadori, gia insegnante, ora antiquario e collezionista d’arte, nel 1987 fonda a Bologna Freak Ando, il noto marchio di antiquariato e modernariato ormai conosciuto in tutto il mondo. La sua attivita professionale lo ha portato a collaborare con Musei, gallerie d’arte, case d’asta e artisti prestigiosi, fornendo oggetti e mobili per mostre, collezioni permanenti, installazioni. Vanno a cercarlo noti registi e scenografi, stilisti e fotografi con l’intento di trovare pezzi per scenografie cinematografiche e teatrali o vetrine di negozi.

Da Freak Ando sono di casa architetti e arredatori coi quali collabora a restaurare storiche abitazioni fornendo pavimenti antichi, porte e materiali, sia per il restauro sia per gli arredi di ogni stile: rustico, raffinato, di design e archeologia industriale. Molto apprezzate anche dai giovani, le sue numerose e recenti realizzazioni di locali, bar, ristoranti. Nel chiostro rinascimentale di via Moline, la sua porta sulla citta, ha realizzato molte mostre di spessore culturale inerenti le arti applicate e il design.

Atelier Scatola Magica
Un teatro di sensazioni, curiosità, stile. Costumi  teatrali, maliziosi corsetti, costumi professionali per la danza si alternano alle collezioni donna, agli accessori, agli abiti da sposa in una inusuale galleria di proposte con un tratto in comune.

INTERVISTA A MAURIZIO MARZADORI

Quando nasce la collezione Marzadori?

La collezione di giocattoli e arredi per l’infanzia Marzadori è iniziata 27 anni fa, con la nascita della mia prima figlia. Oltre alla ricerca dei pezzi – una quotidiana caccia al tesoro – ho anche molto indagato. Ritrovare, attraverso pubblicita, marchi, analisi geografiche e memorie orali, l’identita di fabbriche e artisti finora anonimi è stato un divertente rompicapo e il completamento di un’avventura che non è ancora finita.

Di che oggetti stiamo parlando? Com’è composta l’ormai famosa collezione Marzadori?

E’ composta da giocattoli, camerette per bambini, arredi scolastici, abiti, giochi per esterno…realizzati da grandi artisti e designer ma anche da autori sconosciuti, che hanno attinto con la propria creativita nella cultura e nella moda del loro periodo per realizzazioni destinate a un mercato sia popolare sia di lusso.

Quanto è vasta la collezione?

La collezione conta oggi circa 800 mobili da bambino, per la casa e per la scuola, prevalentemente italiani, che vanno dagli elementi seriali e più popolari a quelli di grandi autori, datati dalla fine dell’ottocento ai giorni nostri.
La sezione dei giocattoli di legno conta circa 350 pezzi della prima meta del 900, ispirati dalle avanguardie artistiche. Sono stati acquisiti inoltre 250 vestitini d’epoca.

Una caratteristica che accomuna tutti i pezzi…

Ogni pezzo racconta la storia del design e mostra lo sviluppo del costume, dei mutamenti sociali e produttivi, culturali, storici e pedagogici della nostra societa.

Chissà quanto successo ha riscontrato…

Fortunatamente è una collezione molto apprezzata da chi viene a visitarla. Inoltre, ha riscosso un meraviglioso successo durante le varie esposizioni “fuori casa” poiché, in toto o in parte è stata in mostra presso numerose location prestigiose, tra cui: Museo archeologico di Bologna, Moma di NY, Biblioteca Salaborsa di Bologna, Triennale Design Museum Milano, Ca’ Pisani Boutique Hotel a Venezia.


Ufficio stampa: press.gart@gmail.com


Ebbene sì, ci occupiamo anche di turismo culturale!

I nostri tour. Iniziando da Venezia

Vi chiederete: cosa c’entrano i tour con un sito che respira arte da tutti i pori? 

Diciamo che i tour sono solo la parte per così dire “leisure” della nostra agenzia di servizi che è anche un vero e proprio DMC (Destination Management Company) su tutto il territorio italiano per l’organizzazione di convegni, fiere, mostre, viaggi, itinerari di ampio respiro culturale.

Ma facciamo un passo indietro. Turismo culturale, un’eresia?!? Perchè per molti, il binomio cultura – turismo non è stato (almeno fino a non molto tempo fa) considerato un binomio vincente, anzi. Era vissuto come un pericolo, una dannosa influenza per sminuire l’alto valore culturale di un qualsiasi monumento, opera, attrazione. 

Ma veniamo a oggi e diamo il giusto spazio in merito a ciò che definiamo “turismo culturale” che molto ha fatto per valorizzare il nostro patrimonio culturale. Si tratta di viaggi, incursioni, esperienze di conoscenza in una destinazione che includono i valori e lo stile di vita e le tradizioni della popolazione locale: le arti, l’artigianato, le tradizioni, e tutte quelle attività culturali ed eventi che una destinazione può offrire.

Atelier Scatola Magica
Un teatro di sensazioni, curiosità, stile. Costumi  teatrali, maliziosi corsetti, costumi professionali per la danza si alternano alle collezioni donna, agli accessori, agli abiti da sposa in una inusuale galleria di proposte con un tratto in comune.

I tour, nel particolare

Per Venezia, la nostra città, proponiamo tre diverse tipologie di tour che incarnano tre diversi modi di scoprire un territorio: il suo patrimonio, le sue arti, le sue tradizioni. 

Arte

Iniziamo con i tour shakespeariani proposti per la prima volta nel luglio 2020 e figli del Progetto “Shakespeare in Veneto” del 2016 per il 400° dalla morte del Bardo. 

Le vicende de Il mercante di Venezia  si sviluppano tra i luoghi più o meno conosciuti e tuttora individuabili del tessuto cittadino: Rialto, il sestiere di Cannaregio e il Ghetto ebraico. Il tour di “Otello” o per meglio dire di Otello e Jago, si articola invece in luoghi che provengono da leggende, curiose coincidenze o aneddoti, ricchi però di riferimenti storici reali. A conferma dei riferimenti citati nella tragedia del Moro di Venezia dell’immaginario shakespeariano.

Fotografia

La serie dei nostri tour fotografici, Venezia in un click, nasce per approcciarsi alla street photography, straordinaria disciplina che permette di istruirsi divertendosi. A spasso per calli e campielli veneziani, i partecipanti verranno accompagnati attraverso percorsi unici da ogni “punto di vista”. Adatto ad appassionati ed esperti in cerca di nuove prospettive da fotografare.

Bollicine

La novità 2021, i nostri Sparkling Tour. Quattro location: un palazzo, un wine bar, una corte, un ristorante. Quattro vini da conoscere e degustare, un percorso sensoriale unico tra luoghi, enogastronomia, arte e architettura. Accompagnati da un sommelier, da una guida esperta del territorio e da tante bollicine!


Ufficio stampa: press.gart@gmail.com