Arte contemporanea: propensioni e attriti
Con l’avvento della fotografia, nel 1800, l’arte pittorica in grado di riprodurre la realtà di maestri come Leonardo, Raffaello, Botticelli….venne via via sostituita. Dipingere realisticamente non era più sufficiente, per non perdere la sua forza espressiva l’arte visiva doveva cambiare linguaggio.
Nell’arco di un centinaio di anni e attraversando varie fasi dell’arte moderna (Impressionismo e Post-Impressionismo, Puntinismo, Simbolismo) si arrivò all’arte contemporanea, dove, se rappresentare realisticamente un oggetto, un volto, un paesaggio non serviva più (ci pensava già la fotografia), quello che si cominciava a chiedere a un’artista era di rappresentare un concetto, per far sì che esso potesse suscitare un’emozione.
L’artista assunse così un ruolo nuovo e oltre ad avvalersi di attitudine, tecnica ed esperienza, dovette cominciare a servirsi di un’idea, una percezione, appunto un concetto. Per l’arte, una vera rivoluzione.
Chi non ricorda il vero punto di svolta (o rottura) tra arte moderna e contemporanea compiuto dall’artista francese Marcel Duchamp (Blainville 1887 – Neuilly-Sur-Seine 1968) con “Fountain” il suo orinatoio in ceramica?
Con quell’opera l’artista dimostrò che, se sorretto da un’idea stravagante e da un marketing efficace, nell’epoca moderna tutto può essere arte.
Già, perché un’altra grande rivoluzione per l’arte contemporanea fu quella di inserire nuove dinamiche, oltre alle capacità tecniche e all’idea creativa dell’artista diventarono fondamentali: la spinta pubblicitaria (quella che determinerà le quotazioni di un artista), lo spettatore erudito (quello che diventerà il critico) e il mercato (quello che diventerà il gallerista e il collezionista).
Per ricapitolare, prendendo ad esempio Duchamp, con un oggetto di uso comune presentato come creazione artistica, sorretto quindi da un’idea ben precisa (in questo caso provocatoria), dell’ottimo marketing e una sede espositiva prestigiosa, l’artista è riuscito a convincere critici e collezionisti che quella era arte, affermando inoltre (in teoria) che chiunque può fare arte.
Il critico e curatore Francesco Bonami tiene a precisare però che “ciò non significa che l’arte oggi è tutta una bufala, che gli artisti sono solo geni del marketing o che tutti sono artisti”. Si faccia avanti chi, di fronte a una delle tele bianche del pittore americano Robert Ryman (Nashville 1930 – New York 2019) o delle tele tagliate dell’artista italo-argentino Lucio Fontana (Rosario 1899 – Comabbio 1968) non abbia proferito: “questo lo potevo fare anch’io!”. Eppure, continua Bonami, “Le tele bianche sembrano una sciocchezza alla portata di chiunque, ma ciò che conta è farle per primo. E il primo a osare l’inosabile è stato proprio Ryman nel 1955”.
Non solo, “in quelle tele c’è un messaggio. Il pittore aveva intuito che oggi non spaventano tanto le guerre quanto il vuoto e la noia. Se l’arte è espressione della società, questa è la società che abbiamo: vuota. E che cosa poteva meglio rappresentare la noia di una tela bianca? Ryman fa quindi arte, senza dare sfoggio di grandi capacità tecniche ma lanciando messaggi che ci fanno pensare”.
Ma come facciamo, noi comuni mortali a capire se c’è davvero un messaggio e qual’è il suo significato o se ci troviamo davanti a un’artista che non ha alcuna capacità tecnica?
Qualche volta è l’artista stesso a svelarcelo (Fontana ne è un esempio), altre volte sono i critici (Duchamp non spiegò mai le sue opere), altre volte ancora l’artista si diverte a sconfessare le interpretazioni di critici e pubblico con opere indecifrabili (Salvador Dalì, Figueres 1904 – 1989).
Ma esiste un altro modo di approcciarsi all’arte contemporanea, indipendentemente dal messaggio che vuole trasmettere, che è quello di lasciarsi suggestionare da ciò che stiamo guardando. Poiché l’arte, oggi, nelle sue più varie forme, esprime chi siamo, cosa proviamo e cosa stiamo vivendo. Accanto quindi a chi, osservando un’opera dell’italiano Gino de Dominicis (Ancona 1947 – Roma 1998) o dell’inglese Damien Hirst (Bristol 1965) ne apprezza la forza disarmante, ci sarà chi la reputa oscena ed eccessiva. Ma ne viene comunque colpito e l’opera d’arte ha raggiunto il suo scopo.
Quello che fa pensare, è che a stabilire “cosa è arte” oggi siano i critici, i galleristi, i mercanti…creando tendenze e confezionando prodotti commerciali ben infiocchettati.
Se il valore di un’opera del Tiziano, si misura dalla sua perfezione tecnica e stilistica, per un’opera di oggi il valore dipende spesso da quanto un artista riesca ad attirare l’attenzione del fruitore (nel bene e nel male) lasciando a critici e collezionisti il compito di promuovere la sua immagine e di far lievitare le sue quotazioni.
Certo, questo “sistema” può farci inorridire e credere che ci propinino dei veri e propri “fake”, distinguere un’opera d’arte da un lavoro mediocre o di cattivo gusto non è sempre semplice. Eppure un sistema c’è ed è quello di guardare l’opera con occhi “innocenti”, senza ne’ aspettative, ne’ preconcetti, lasciandosi trasportare dalle sensazioni che suscita per arrivare a percepire ciò che il nostro essere, le nostre esperienze, il nostro sentire, dopo averlo filtrato, ci fa ritornare.
Non hanno più importanza il bello o il brutto, quando un’opera ci fa riflettere, ci sorprende, ci stimola o anche solo ci diverte, l’artista ha fatto centro. In fondo il proverbio è sempre valido: “non è bello ciò che bello ma è bello ciò che piace” e in una società come quella attuale, in cui nessuno crede in una verità universale e il concetto di bellezza è sempre più relativo, un traguardo emozionale è quanto di meglio ci possiamo augurare!
Fonti:
“Lo potevo fare anch’io ‐ Perchè l’arte contemporanea è davvero arte” Francesco Bonami – Mondadori, Collana Strade blu, 2007
Ufficio stampa: press.gart@gmail.com